Licenziamento per falsa attestazione della presenza in servizio mediante strumenti informatici

02 Aprile 2025

La pronuncia n. 4936 del 25 febbraio 2025 della Corte di Cassazione tratta il tema del licenziamento per aver falsamente attestato la presenza in servizio di un dipendente con mansioni di addetto alla distruzione del gas, all’effettuazione di interventi tecnici presso i vari clienti anche per i casi di emergenza.

A seguito di accordo sindacale, all’interno dell’azienda a ciascun operaio veniva dato in assegnazione un iPad, con quale accedere ad un portale sul quale, al termine della giornata lavorativa, inserire i dati relativi ai lavori eseguiti ed ai relativi esiti.

Mediante attività investigativa e ponendo a confronto anche i dati risultanti dall’iPad, emergeva che il lavoratore ha inserito dati errati nel sistema operativo, si è intrattenuto in locali pubblici durante l’orario di lavoro, ha utilizzato l’auto aziendale per scopi diversi da quelli lavorativi  trasportando anche terzi estranei al rapporto di lavoro e ha infine lasciato il posto di intervento prima dell’ultimazione dei lavori.

La condotta oggetto di contestazione disciplinare è infatti consistita nell’aver inserito nel sistema informatico dati falsi, ossia non rispondenti al vero. Ne deriva che il dispositivo iPad rileva non come sistema del datore di lavoro per effettuare un controllo sulla prestazione lavorativa, ma come mezzo adoperato dal dipendente per fornire al datore di lavoro dati falsi. Tali dati, forniti dallo stesso lavoratore, rilevano pertanto non quale esito di un controllo a distanza della prestazione lavorativa, bensì come elementi da raffrontare con l’esito delle indagini investigative.

Con riguardo al ricorso ad agenzia investigativa privata, le disposizioni dell’art. 2 dello statuto dei lavoratori, nel limitare la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a tutela del patrimonio aziendale, non precludono a quest’ultimo di ricorrere ad agenzie investigative, purché queste non sconfinino nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata dall’art. 3 dello statuto dei lavori direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori, restando giustificato l’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione.

Dunque va ribadito che i controlli del datore di lavoro a mezzo di agenzia investigativa, riguardanti l’attività lavorativa del prestatore svolta anche al di fuori dei locali aziendali, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo, non potendo, invece, avere ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa, in ragione del divieto di cui agli artt. 2 e 3 della legge n. 300/1970.

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