Emersione del lavoro irregolare e pregressa condanna per reato di lieve entità
La sentenza n. 43 del 19/03/2024 della Corte Costituzionale stabilisce che sia irragionevole e non conforme al principio di proporzionalità far discendere in via automatica il rigetto dell’istanza di emersione del lavoratore straniero irregolare da una precedente condanna per un reato di lieve entità, anziché dall’accertamento in concreto della sua attuale pericolosità.
È stato infatti dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 103, comma 10, lett. c), del decreto-legge n. 34 del 2020 (c.d. Decreto Rilancio), nella parte in cui includeva fra i reati che comportano l’automatica esclusione dalla procedura di emersione del lavoro irregolare la previa condanna per il cosiddetto piccolo spaccio.
Ad avviso della Corte, la condanna per il richiamato reato non costituisce un indice univoco di persistente pericolosità tale da giustificare l’esclusione automatica del lavoratore dalla procedura di emersione.
Ben può accadere, infatti, che il lavoratore straniero, tenuto conto del tempo trascorso dalla condanna, dell’espiazione della pena, dell’eventuale percorso rieducativo seguito, della condotta tenuta successivamente e di altri possibili indici probatori, non rappresenti più un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza.
L’estromissione assoluta di chi sia stato condannato per il piccolo spaccio dalle procedure di emersione e di conclusione di contratti di lavoro – stante la ridotta gravità di tale reato che non può di per sé escludere la dimostrazione della cessata pericolosità – esorbita dallo scopo di negare l’accesso a chi si dimostri una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza.
Dunque, al lavoratore che abbia in passato ha riportato una condanna per il reato di piccolo spaccio, troverà applicazione la previsione che lo esclude dalle procedure di emersione del lavoro irregolare solo se la pubblica amministrazione accerta in concreto la sua attuale pericolosità per l’ordine pubblico e per la sicurezza dello Stato.